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«It's only Califuckingfornia man!»


Radiofreccia, 1998

L'intensità con la quale stiamo vivendo questo viaggio mi fa spesso pensare all’affermazione di Bonanza nel celebre film di Ligabue; deserti, montagne e oceano si alternano alle persone che incontriamo, con il risultato di vivere ogni giorno emozioni così diverse fra loro da non ricordare cosa siano i tempi morti.

Abbiamo pagato per non pisciare al freddo


02 Novembre 2013

Quando abbiamo deciso di partire per questo viaggio il budget di spesa è stato una delle prime cose con le quali abbiamo dovuto fare, letteralmente, i conti.  Biglietti aerei, cibo, benzina, noleggi.
L'elenco di voci che abbiamo preventivato e che controlliamo ogni giorno è lungo e articolato.  
Ai piedi della scheda di Excel abbiamo inserito un preventivo di spesa tutto nostro: le sbronze.
Una riserva psicologica per affrontare al meglio quelle situazioni nelle quali senti che stai per vivere una serata importante. 
Dopo un mese on the road, abbiamo per la prima volta intaccato quel budget.

Quei due ragazzi siamo noi

Una domenica di circa un anno fa, dopo aver trascorso il pomeriggio ad arrampicare in una falesia vicino a casa, ci siamo seduti su una panchina vicino al parcheggio.
Stavamo bevendo birra quando è arrivato un furgone dal quale sono scesi due ragazzi. Parlavano in inglese e la cosa ci ha incuriosito.

Respect Bro


Ai piedi de El Capitan, nel mezzo della Yosemite Valley, c'è un grande prato.
Costeggia la strada che percorre il fondo valle, e dalle prime luci dell'alba fino al tramonto è frequentato da gruppi di persone che fissano le pareti della più grande falesia del mondo.
Oggi c'eravamo anche noi.
A un primo sguardo è difficile fare distinzioni; al cospetto di questo monolito sembriamo tutti uguali.
Ridicolmente minuscoli, inaspettatamente rispettosi. (E vaffanculo a -mente che non andrebbe mai utilizzato!)
Ma dopo un pò qualche differenza fra le persone sedute sotto la montagna inizia a intravedersi.
C'è chi si fa le canne, per esempio.  E chi no.
C'è chi osserva la montagna, e chi la studia.
Soprattutto, c'è chi El Capitan l’ha scalato, e chi no.

Ieri abbiamo incontrato uno di quelli che l’ha scalato.
Uno svizzero, guida alpina, che il giorno prima aveva completato l'ascesa in quattro giorni lungo The Nose. La via che nel 1993 ha consacrato Lynn Hill come una delle più importanti climber al mondo.

Bevendo birra abbiamo parlato del più e del meno e ci ha spiegato che per risalire la parete si posso usare tecniche e stili diversi e che ci si possono mettere poche ore oppure una settimana intera.
Ci ha anche confidato che sempre più persone provano ad arrampicarlo, e che le vie cominciano a essere affollate. Loro, per esempio, hanno dovuto aspettare per un giorno intero che il gruppo che li precedeva decidesse di mollare, e discendere,  prima di poter proseguire.

Dalle foto che ci mostra possiamo rubare pezzettini minuscoli delle emozioni che deve aver provato e che con le parole non riesce, o forse non vuole, comunicarci.
Parla di attrezzatura e di pesi, di tempi di scalata e di tecniche. Ma non di emozioni.
Ma a noi, che non possiamo di certo pensare di scalare questa montagna, interessano quelle.
Com'è scalare El Capitan?
Voglio dire, stiamo parlando della falesia più alta e più famosa del mondo, al centro della fottutissima Yosemite Valley.
Essere arrivati in cima, aver passato tre notti appesi alla roccia, aver esultato e bestemmiato fra le centinaia di passaggi deve avere un significato.
E' fighissimo? E' banale? Ti ci abitui?
Qual è la verità che spinge centinaia, forse migliaia di persone ogni anno a risalire questa parete? Eppure questa è l'unica domanda che non gli abbiamo posto.

Ripensandoci, la risposta la avevamo già davanti agli occhi.

Scalare questa montagna vuol dire aver voglia di tornare a guardarla, da sotto, il giorno dopo. Nonostante il freddo, i kilometri, un ginocchio ko.
Respect Bro.

Fuck Yeah

 
Under the Nose - Respect -