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Quei due ragazzi siamo noi

Una domenica di circa un anno fa, dopo aver trascorso il pomeriggio ad arrampicare in una falesia vicino a casa, ci siamo seduti su una panchina vicino al parcheggio.
Stavamo bevendo birra quando è arrivato un furgone dal quale sono scesi due ragazzi. Parlavano in inglese e la cosa ci ha incuriosito.



Per un po’ abbiamo continuato a bere la nostra birra mentre loro trafficavano attorno al furgone. Ma poi hanno iniziato a spostare stoviglie e fornelli sul tavolo di fianco alla nostra panchina, e a quel punto abbiamo iniziato a parlare con loro.
Le solite cose: da dove venite, come mai proprio qui, etc.
Erano climber, logicamente. Uno Neozelandese, l'altro Tedesco.
Stavano girando l'Europa, cercando spot validi dove arrampicare. Spagna, Austria, Italia.
La cosa interessante è che prima di venire in Europa avevano fatto la stessa cosa in Australia e Nuova Zelanda. In giro con il furgone, a tracciare la cartina geografica come fosse una falesia. Uno spit di qua, una crocetta di là.
Ricordo che quella sera hanno preparato un sugo al pomodoro. Mi è rimasto impresso perché hanno fatto anche il soffritto.
A un certo punto, però, ho smesso di ascoltare le loro storie. Certi racconti mi fanno sentire inutile, mi danno la sensazione di essere seduto sul divano con le mani in mano. 
Come diceva Diana Ross: "Non puoi semplicemente sederti e aspettare che le persone ti diano il sogno dorato. Devi uscire e fare in modo che accada".
In quel periodo mi capitava spesso di sentirmi così.
Ricordo solo che a un certo punto mi sono alzato, ho finito la birra, e ho detto a Laura: «Dai andiamo.» «Che domani è Lunedì.»

Questa mattina ci siamo svegliati in un campeggio, diverse miglia all'interno di un deserto.
La zona è quella di Bishop, una piccola cittadina vicino a Mammoth Lakes. Famosa per il pane e per la pesca. E per il climb logicamente.
Non avevo mai dormito in un posto come questo. Dalle mie parti i campeggi sono dei labirinti attrezzati con tutti i comfort. Sembrano più dei villaggi turistici, pieni di tranelli studiati per non farti portare all'esterno i preziosi euro che hai nelle tasche.
In questo dove siamo noi non c'è nemmeno il custode. La tariffa, due dollari a notte, la paghi infilando i soldi in una cassetta della posta. Niente luci, acqua o corrente elettrica. Niente bar, ristoranti, supermercati.
Solo spazi aperti dove l'unica cosa che puoi fare è fermarti e guardarti attorno.

Io questo l'ho chiamato deserto, anche se non sono sicuro che sia corretto. Certo è che si tratta di una distesa di terra arida e bollente che arriva fino ai piedi della Sierra Nevada. Grande abbastanza da avere nel mezzo un canyon profondo centinaia di metri.
Il tramonto è stato come lo immaginavo. Il sole che scompare in pochi minuti oltre l'orizzonte e il cielo che si tinge dello stesso colore della terra.
L'alba, una replica del tramonto, ma più cruda. Fredda e immediata. Uno spettacolo. Soprattutto se la guardi da dentro il sacco a pelo, al caldo.

In quest’angolo di mondo frequentato quasi esclusivamente da climber, ho ripensato all'incontro con quei due ragazzi del sugo al pomodoro.
Mi è tornato alla mente perché oggi, mentre stavamo arrampicando nell' Owens River Gorge, il canyon che spacca in due il deserto, abbiamo conosciuto una coppia di climbers di Sacramento. Originari del New Jersey i due si sono trasferiti in California un paio di anni fa, per essere vicini alla Yosemite Valley e alle falesie qui intorno.
Dopo aver arrampicato assieme per tutto il pomeriggio, ci hanno proposto di andare con loro alle Hot Springs. Pozze di acqua termale in mezzo al deserto.
Siamo rimasti ammollo per circa un'ora, chiacchierando del più e del meno. Di come fossimo capitati a Bishop e dei rispettivi progetti.
Ci hanno raccontato che vorrebbero acquistare un furgone, caricarlo delle loro cose e tappa dopo tappa, senza fretta, tornare nel New Jersey. Magari stare in giro per un po’, senza una meta definita.
«Ma il lavoro va bene», ci spiegano, «Qualche soldo lo mettiamo da parte. Stiamo ancora aspettando il momento giusto».
A un certo punto della conversazione lui si è alzato e ha svuotato le ultime gocce di birra nella pozza.
«Dobbiamo andare,» ha detto a lei, «Che da Bishop a Sacramento fanno cinque ore di macchina». «E domani è Lunedì». 
L’ha detto senza tristezza o rassegnazione nella voce, ma con quella punta d’invidia che non passa inosservata a chi sa cosa vuol dire sognare un viaggio.
Quando ha pronunciato quella frase, ho pensato subito una cosa.
«Domani è Lunedì. Ma noi non ci muoviamo».
Andiamo al nostro furgone e prepariamo la cena. Spaghetti al pomodoro. Faccio anche il soffritto, che tanto non c'è fretta.

Oggi, quei due ragazzi, siamo noi.

Fuck Yeah

Two dollars camping at Bishop

2 commenti:

  1. Ciao Francesco,
    Ma quanto è figo quel furgone con cui ve ne andate in giro? Mi da qualche info sulla sua realizzazione, sono curioso.

    ciao ciao

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    Risposte
    1. Ciao Alessandro! Il furgone purtroppo non è nostro. Lo abbiamo noleggiato per questa prima parte del viaggio. Il sito del noleggio è: http://www.escapecampervans.com/. Ne hanno parecchi e tutti aerografati da artisti locali. Yo!

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