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From Scorpion Bay...to Scorpion Bay!


12 Dicembre 2013

Dopo aver salutato Silvio e Kilauea abbiamo attraversato a piedi il confine con il Messico, e per dieci giorni abbiamo attraversato in lungo e in largo la Baja California.

Dal Mar di Cortez all'oceano Pacifico. Da Tijuana fino a San Juanico.
Sono molte le cose delle quali potremmo raccontare.
Degli orizzonti che abbiamo ammirato per esempio; così ampi e imponenti, eppure così nitidi, che ci è inevitabile chiederci se, prima di oggi, il nostro sguardo si fosse mai spinto tanto distante.

Kilauea...la vince!


30 Novembre 2013

E cosi, molto prima di quanto ci aspettassimo, è arrivato il momento di restituire il furgone e di chiudere la prima parte del viaggio.

Per quarantacinque giorni abbiamo vissuto on the road, e che avessimo desiderio di luoghi isolati immersi nella natura, oppure di più organizzati ambienti urbani, abbiamo potuto dare ascolto alle nostre priorità e gioire del meraviglioso senso di libertà che ci ha regalato la vita a bordo di Kilauea, il nostro tamarrissimo furgone a noleggio. Il quale porta molto saggiamente il nome di un vulcano hawaiano e che in lingua originale significa: "nuvola di fumo che sale."

«It's only Califuckingfornia man!»


Radiofreccia, 1998

L'intensità con la quale stiamo vivendo questo viaggio mi fa spesso pensare all’affermazione di Bonanza nel celebre film di Ligabue; deserti, montagne e oceano si alternano alle persone che incontriamo, con il risultato di vivere ogni giorno emozioni così diverse fra loro da non ricordare cosa siano i tempi morti.

Abbiamo pagato per non pisciare al freddo


02 Novembre 2013

Quando abbiamo deciso di partire per questo viaggio il budget di spesa è stato una delle prime cose con le quali abbiamo dovuto fare, letteralmente, i conti.  Biglietti aerei, cibo, benzina, noleggi.
L'elenco di voci che abbiamo preventivato e che controlliamo ogni giorno è lungo e articolato.  
Ai piedi della scheda di Excel abbiamo inserito un preventivo di spesa tutto nostro: le sbronze.
Una riserva psicologica per affrontare al meglio quelle situazioni nelle quali senti che stai per vivere una serata importante. 
Dopo un mese on the road, abbiamo per la prima volta intaccato quel budget.

Quei due ragazzi siamo noi

Una domenica di circa un anno fa, dopo aver trascorso il pomeriggio ad arrampicare in una falesia vicino a casa, ci siamo seduti su una panchina vicino al parcheggio.
Stavamo bevendo birra quando è arrivato un furgone dal quale sono scesi due ragazzi. Parlavano in inglese e la cosa ci ha incuriosito.

Respect Bro


Ai piedi de El Capitan, nel mezzo della Yosemite Valley, c'è un grande prato.
Costeggia la strada che percorre il fondo valle, e dalle prime luci dell'alba fino al tramonto è frequentato da gruppi di persone che fissano le pareti della più grande falesia del mondo.
Oggi c'eravamo anche noi.
A un primo sguardo è difficile fare distinzioni; al cospetto di questo monolito sembriamo tutti uguali.
Ridicolmente minuscoli, inaspettatamente rispettosi. (E vaffanculo a -mente che non andrebbe mai utilizzato!)
Ma dopo un pò qualche differenza fra le persone sedute sotto la montagna inizia a intravedersi.
C'è chi si fa le canne, per esempio.  E chi no.
C'è chi osserva la montagna, e chi la studia.
Soprattutto, c'è chi El Capitan l’ha scalato, e chi no.

Ieri abbiamo incontrato uno di quelli che l’ha scalato.
Uno svizzero, guida alpina, che il giorno prima aveva completato l'ascesa in quattro giorni lungo The Nose. La via che nel 1993 ha consacrato Lynn Hill come una delle più importanti climber al mondo.

Bevendo birra abbiamo parlato del più e del meno e ci ha spiegato che per risalire la parete si posso usare tecniche e stili diversi e che ci si possono mettere poche ore oppure una settimana intera.
Ci ha anche confidato che sempre più persone provano ad arrampicarlo, e che le vie cominciano a essere affollate. Loro, per esempio, hanno dovuto aspettare per un giorno intero che il gruppo che li precedeva decidesse di mollare, e discendere,  prima di poter proseguire.

Dalle foto che ci mostra possiamo rubare pezzettini minuscoli delle emozioni che deve aver provato e che con le parole non riesce, o forse non vuole, comunicarci.
Parla di attrezzatura e di pesi, di tempi di scalata e di tecniche. Ma non di emozioni.
Ma a noi, che non possiamo di certo pensare di scalare questa montagna, interessano quelle.
Com'è scalare El Capitan?
Voglio dire, stiamo parlando della falesia più alta e più famosa del mondo, al centro della fottutissima Yosemite Valley.
Essere arrivati in cima, aver passato tre notti appesi alla roccia, aver esultato e bestemmiato fra le centinaia di passaggi deve avere un significato.
E' fighissimo? E' banale? Ti ci abitui?
Qual è la verità che spinge centinaia, forse migliaia di persone ogni anno a risalire questa parete? Eppure questa è l'unica domanda che non gli abbiamo posto.

Ripensandoci, la risposta la avevamo già davanti agli occhi.

Scalare questa montagna vuol dire aver voglia di tornare a guardarla, da sotto, il giorno dopo. Nonostante il freddo, i kilometri, un ginocchio ko.
Respect Bro.

Fuck Yeah

 
Under the Nose - Respect -




Mani a padella



22 Ottobre 2013

Il programma di oggi prevedeva arrampicata morbida la mattina e camminata fino a Glacier Point nel pomeriggio.
Decidiamo di svegliarci alle prime luci dell'alba, per avere tutta la giornata a disposizione.
Non abbiamo considerato però che il nostro campeggio è ai piedi di Half Dome, che con la sua vetta all'infuori proietta un cono d'ombra esattamente sopra la nostra piazzola. Sta di fatto che quando usciamo dai sacchi a pelo la maggior parte dei climber è in falesia già da un'ora.
Tempo di fare colazione, stivare il cibo e le chewingum nella cassetta antiorso e siamo pronti a partire.

Con la dovuta calma, alle ore 10,15, imbocchiamo il sentiero che mena alla falesia. Dalla parte sbagliata.
Alle 10.30, con il naso all'insù, guardiamo la roccia. Piatta, sporgente.
Una catena luccica sulla sommità di quella che dovrebbe essere una via, ma senza né spit ne appigli. C'è qualcosa che non va.
Eppure il libro delle vie che abbiamo acquistato e studiato il giorno prima parla chiaro: Bolted lines in Yosemite Valley. Ma bolted non vuol dire che ci sono gli spit nei quali rinviare la corda?
Perlustriamo la base della falesia ma l'unica via attrezzata alla nostra maniera è un 7C+ con il primo spit a 6 metri. Niente da fare, decidiamo di cambiare falesia.
Nel parcheggiare ai piedi dello spot avevo notato un furgone bianco, attrezzato alla grande, con fuori tre climber dall'aspetto duro che ammucchiavano montagne di materiale sul marciapiede.
Tornando verso il parcheggio penso che potrei chiedere a loro dove trovare delle vie più semplici.
Così mi avvicino e chiedo informazioni.
«Yo guys. Noi siamo italiani, abituati a scalare su vie attrezzate. Non sapete mica dove trovarne qui in giro?» Uno di loro, magro, con la pelle chiara bruciata dal sole, mi guarda come mi aspettavo che facesse. In cerca di segnali. Secondo me, per prima cosa, ha guardato le mie mani. Da computer.
Poi ha pensato alle sue, due padelle di ferro, e gentilmente mi ha chiesto su che grado arrampicassimo.
«5c, 6a. Qualche 6a+» rispondo io.
«Ah ecco». C'era un pizzico di sorpresa nella sua voce.
«In realtà non ci sono molte vie di quel genere da queste parti...»

Mentre mani a padella m’indica la strada verso una falesia nella quale secondo lui avremmo potuto provare a scalare, noto un secondo ragazzo appoggiato a una macchina.
Quando si toglie gli occhiali, mi sembra di riconoscerlo.
Guardo Laura; anche lei ha notato qualcosa. Quel tipo lo abbiamo già visto.
Sembrava «lui», ma «lui» ce lo ricordavamo più grosso. Non appena apre bocca, però, svanisce ogni dubbio.
E' Chris Sharma. 
Abbiamo appena chiesto dove trovare un 5c, tracciato, nella Yosemite Valley, a Chris fottutissimo Sharma.
Un po’ come chiedere a Kelly Slater come siano le onde di Chioggia o a Roger Federer come sia giocare sul centrale di Bardolino.
Dopo aver scattato una foto, ce ne andiamo con un pezzettino di coda fra le gambe. Loro si stavano preparando per passare la notte in falesia e noi in giro a caccia di robetta da bambini, secondo gli standard locali. Senza trovarla, per altro.
Non ci mettiamo molto a renderci conto che le vie qui sono di un livello di gran lunga superiore al nostro. Quelle tracciate sono poche e sicuramente troppo impegnative per noi.

Decidiamo quindi di anticipare la camminata del pomeriggio e mentre risaliamo a Glacier Point, percorrendo le cinque miglia di risalita verso il rifugio, non riesco a smettere di pensare al fatto che la falesia non la abbiamo nemmeno toccata.
Brucia, soprattutto dopo aver visto Sharma. Ma poi capisco che in fondo è giusto così. Pensare che spot come questi rimangano a uso esclusivo di chi alla montagna ha deciso di dedicare il giusto tempo e le necessarie attenzioni mi da sicurezza.
E' pura e semplice meritocrazia, ed è confortante sapere che da qualche parte è ancora in uso.

Penso anche che mi dispiace non aver passato più tempo con quei ragazzi, di non avergli raccontato qualcosa della nostra avventura. Forse perché in fondo mi sento di condividere qualcosa con questi super eroi che abbiamo sempre ammirato nei video. Non certo la fama o la gloria e nemmeno il talento. Ma il fatto che in qualche punto della loro storia anche loro abbiano dovuto decidere di seguire il loro intuito e fare scelte impegnative. E questo anche noi lo stiamo facendo anche noi.

Fuck Yeah

Chirs Sharma e Mani a padella con Angus e Slash


P.S
Dall'Italia ci informano che mani a padella in realtà è "solo" Tommy Caldwell e che il ragazzo sullo sfondo, con il quale mi dispiace ammettere di non aver nemmeno parlato è "solo" Kevin Jorgenson. A conferma della portata della figuraccia che abbiamo fatto.

Perette di Mare


Martedì 15 Ottobre


Ho appena sognato che ero in debito con uno spacciatore. Era uno spacciatore educato che si faceva chiamare per nome e cognome. Niente diminutivi o soprannomi inquietanti.
In realtà io non ero direttamente in debito con lui. E' che mi riteneva responsabile a causa di una terza persona, a sua volta in debito con me.
Io avevo venduto non ricordo cosa a quest'ultimo; un personaggio che conoscevo perché mi procurava l'erba. Questo tizio a sua volta era in debito con lo spacciatore educato; nel sogno le motivazioni non erano chiare. L'Educato mi riteneva responsabile per dei favori che mi aveva fatto in passato. Una storia a tre insomma.
A un certo punto del sogno, tormentato dalla sensazione d’ingiustizia, chiedo di parlare di persona con l'Educato. Non lo chiamo direttamente ma spargo in giro la voce (non ho idea di come si faccia a spargere in giro la voce, ma fa molto american movie) e lui si presenta puntualmente nella mia casa di famiglia annunciandosi a mia Zia.
Quando scendo le scale, lo trovo ad aspettarmi in giardino. Si è portato appresso una decina di scagnozzi che allontana in malo modo appena usciamo dal cancello. Un atteggiamento che non gli ho mai visto usare e che mi spaventa. La stessa aggressività la usa nei miei confronti quando gli accenno al fatto che non mi ritengo in debito nei suoi confronti. Che sono intenzionato ad aiutarlo ma che non posso essere responsabile delle azioni di una terza persona. Che per altro è in debito anche con me. Ha scelto lui di vendergli la roba, non lo ho obbligato io. Cazzi suoi. E' un po’ come in certe aziende, penso nel sogno, quando il capo padrone è responsabile anche per gli errori dei suoi dipendenti.
Non appena accenno a questa teoria, lui diventa veramente aggressivo.
Mi interrompe e non mi lascia parlare. E' talmente convinto e determinato nell'elencarmi le mie responsabilità, che io non conoscevo, che finisco per crederci anch’io.
E per svegliarmi a notte fonda, a poche ore alla partenza.

Alle partenze, in verità. Che aggiunte alle alette di pollo fucking hot di ieri sera spiegano il perché io sia finito a sognare improbabili spacciatori. E a riflettere su cosa o chi possano rappresentare.
Ad ogni modo, la prima partenza è quella di mia madre che dopo quindici giorni ritorna in Italia. Fucking Thanks Mom. Love you!
La seconda è la nostra. Finalmente andiamo a prendere il furgone. Mi sembra Natale, giuro.
Destinazione la Sierra Nevada e i boulder di Bishop, passando per il Sequoia National Park. Shutdown permettendo.
Dall'oceano alla montagna. Dal surf al climb. Uno dei motivi per cui la California è sempre stata il nostro sogno.
A San Clemente torneremo di sicuro. Si respira un'aria buona qui.
E ci sono le Perette di mare, la versione local della plastica a bolle. Sia a terra sia in line-up le usi come scacciapensieri.

Stanotte luna e oceano sono in perfetta sincronia. Una sopra, splendente e luminosa. L'altro sotto, a farsi disegnare sulla superficie un’autostrada di luce lunga fino all'orizzonte.

E poi ci sono io, turbato dal sogno, infreddolito, a schiacciar Perette di mare.


Perette di mare a San Clemente, California

Awesome Fucking Bench


Questa mattina non ho resistito alla curiosità e, appena sveglio, sono sceso sulla spiaggia.
Mi sono seduto su una panchina occupata da un signore sui 40 anni. Saranno state circa le otto.
L’ho guardato ricevere dei bigliettini di plastica da una ventina di ragazzini in muta, che subito dopo, sono entrati nell'oceano per fare surf.
Dopo aver annotato su un quaderno i nomi scritti sui biglietti, l'uomo ha preso in mano un binocolo e ha passato una’intera ora a fissare l'oceano.
Ho visto questa scena ripetersi tutte le mattine da quando sono arrivato a San Clemente; dalla finestra di casa la spiaggia si vede alla perfezione. Chi è questo tizio che passa le mattinate a guardare i ragazzini fare surf? Li sta allenando o cosa?
Verso le nove, uscendo dall'acqua, i ragazzini sono sfilati davanti alla panchina ritirando quello che ho dedotto essere un cartellino presenze, prima di correre verso il parcheggio, togliersi la muta, fare streching e salire su un autobus. Tavola sottobraccio e muta nello zaino.
Mentre l'uomo riordinava le carte attendendo che gli ultimi ragazzini uscissero dall'acqua mi sono fatto coraggio e gli ho posto la domanda che mi girava da giorni nella testa: «Mi scusi. Ma lei è un allenatore di surf?»
La risposta è arrivata immediata, condita con un sorriso a 36 denti con dentro tutta la spontaneità e la gentilezza che la gente ha da queste parti: «No, sono un insegnate. Questa è la prima ora di lezione.»
Scuola.
Questi gran bastardi hanno il surf fra le materie scolastiche. Per due volte la settimana iniziano la giornata surfando.
In pratica, diventi grande senza dover chiedere il permesso di andare in bagno a pisciare, e come compagno di banco hai un delfino.
E non solo. Dalla line-up possono vedere la pista ciclabile che costeggia la spiaggia e le mamme in tenuta da jogging che la percorrono. Guinzaglio con barboncino in una mano, caffè nell'altra.
E' così che iniziano le giornate a San Clemente. Surf, Jogging e Milf watching.
Il sole nasce da dietro le colline e quando illumina il mare la line-up è già affollata. Molti di quelli che frequentano lo spot vicino al pontile verso le otto vanno al lavoro, lasciando spazio ai ragazzini e a quelli come noi che hanno tempo da buttare. Nulla sembra poter rompere l'equilibrio sole-oceano-wellness sul quale si regge l'intera comunità.
Su una brochure ho letto che San Clemente è una delle prime cittadine americane la cui posizione è stata decisa a tavolino, studiando le carte. 324 giorni di sole l'anno e quello che viene considerato il miglior clima al mondo.
Già nel 1925, anno nel quale è stato fondato il comune, avevano capito che se dai alle persone l'opportunità di stare vicino all'oceano e al sole poi loro sono in giro meglio e si crea un circolo vizioso che rende tutti più felici. Perfino gli operai che riparano la ferrovia che costeggia la spiaggia, ti sorridono quando incroci il loro sguardo. 
A volte mi chiedo se i giornali locali parlino o meno dello shutdown, della crisi mondiale o della Siria. Perché loro, i Sanclementini, sembrano non essere per nulla influenzati da tutto ciò.
Difetti? Ce ne sono, garantito. Ma io sono in un mood troppo positivo per perdermi a cercarli e loro estremamente bravi a mascherarli.
E poi, anche dovesse venirmi voglia di spostare la mia attenzione sui problemi, sulle preoccupazioni o sulle potenziali conseguenze negative della decisone che abbiamo preso, le panchine parlanti intervengono e tutto si risolve.

Le panchine parlanti vivono lungo le strade principali di San Clemente. Non le ho contate ma devono essere almeno cento, forse di più. Le più anziane passano le loro giornate sul pontile, che corrisponde alla piazza dei paesi europei; il luogo dove andare a pescare e dove mettere in mostra culi e addominali nella stessa proporzione con cui da noi si indossano vestiti e scarpe firmate.
Ogni panchina è portatrice di un messaggio; i temi più ricorrenti sono la vita e l'oceano. Ma non solo. Alcune parlano di arte, altre, semplicemente, servono a ricordare.
E poi c'è la nostra panchina. Awesome Fucking Bench. L'ha chiamata così un local che passava vicino a lei mentre la stavamo fotografando.
Infradito+walkshort+felpa+beaniesucapellocottodalsole+occhialedasole+surfboardsottobraccio+mutaappesasutavolasottobraccio. Esempio perfetto di surfista local è stato per un attimo la voce della panchina parlante, venuta a ricordarci che la cosa più bella sta accadendo proprio adesso.

Awesome Fucking Bench
NB: La conversazione con l'istruttore di Surf l'ho inventata. Tutto il resto è vero. Anche le panchine parlanti.

MokaGialla & Washing Machine


MokaGialla in origine avrebbe dovuto chiamarsi WashingMachine.
Un blog introspettivo creato per condividere i cambiamenti ai quali abbiamo sottoposto la nostra vita e il viaggio che abbiamo intrapreso.
Washing Machine, ovvero lavatrice. Iniziava cosi:

Albino, BG
28 Luglio 2013

«Affidiamo a questo fiume, Serio, le nostre Serie speranze.
Lasciamo le nostre incertezze,
alla ricerca delle nostre certezze.
A te che leggi questo messaggio, auguriamo lo stesso coraggio.»
Francesco e Laura

Come gli antichi naufraghi che affidavano all'oceano richieste di soccorso, così noi abbiamo lasciato il nostro messaggio alle acque del fiume Serio.
Infilato in una bottiglia di ottimo vino francese.

Chissà come sarà il viaggio della bottiglia, chissà se giungerà mai fino al mare, per galleggiare serena fra le onde o se rimarrà incagliata in qualche ansa del fiume a girare come una ossessa nella corrente.
Chissà se sarà capace di affrontare le rapide e superare le secche.

L'unica maniera per scoprirlo è seguirla nel suo viaggio.

Prima di lasciar andare la bottiglia nel fiume, libera di inseguire il suo sogno, abbiamo fatto lo stesso con le nostre vite.

Qualche mese fa ci siamo licenziati. Era il 12 Maggio.
Abbiamo deciso di investire tutto ciò che abbiamo nella ricerca della nostra vita; quella vera.
Quella che tutti i giorni è Natale e hai una stanza piena di regali che ti aspettano.
Quella che tutti i giorni sei una rock star e fai quello per cui sei nato, quello per cui hai talento.

Abbiamo deciso di partire per un viaggio lungo 6 mesi. O magari una vita intera.
Prima tappa: California.
Seconda tappa: Messico, Scorpion Bay. Finalmente Scorpion Bay.
Terza tappa: Brasile, Florianopolis.

In ogni chilometro, in ogni miglio, le emozioni e la bellezza che ci aiuteranno a capire quale è la strada che dobbiamo seguire.

Vogliamo raggiungere il nostro mare e per farlo abbiamo messo in gioco tutto. Se state leggendo queste parole vuol dire che abbiamo preso anche un'altra decisione: quella di condividere con voi il nostro viaggio.

MokaGialla, invece, inizia così:

Fuck Yeah!

California, see yah!

Era il 9 di Agosto quando scrivevo queste parole.
Con un piede rotto sudavo al caldo nel nostro appartamento di Fiorano al Serio.
Di quei momenti ricordo soprattutto il rumore. Campane e moto da cross.
Oggi è il 3 di Ottobre, dal cesso di casa vedo l'oceano e stamattina ho surfato con i delfini.
Fuck Yeah!