Gallery

...

"Chi laur le..."


13 Marzo 2013
Rovetta, Val Seriana
Sabato mattina.

Sono circa le sei e mezzo.
Attraverso i sottili vetri della finestra, accompagnati dai lontani rintocchi monotoni delle campane, arrivano fino al nostro letto i primi raggi di luce di una fredda mattina primaverile e dalla strada che passa sotto la nostra stanza sento giungere i mormorii soffocati di un gruppo di vecchiette che di buon’ora si recano al mercato del paese.


Lo stretto dialetto bergamasco, recitato come una cantilena, si fonde in perfetta discordanza con l'odore umido - di viaggio, di notti out- there - di cui sono intrisi i nostri sacchi a pelo.
Ed io, confuso e mezzo addormentato, ho la sensazione che i ricordi della vita che abbiamo lasciato, dopo aver atteso per lunghi mesi il nostro ritorno, abbiano finalmente incontrato quelli della vita che abbiamo vissuto lontani da casa.

Con il risultato che, fra rimanere e partire, sembra che non esista più alcuna differenza.


Eppure di tempo ne è passato: Centosettantasei giorni.

Diecimila miglias.
Cinque auto a noleggio.
Sedici biglietti aerei.
Undicimilacentoventotto fotografie, scattate in tre nazioni.
Quattordici stelle cadenti, un meteorite, centinaia di lampi.
Trecento e forse più birrette.
Due tatuaggi.
Diciotto post su due blog.
Quattro inizi di racconti.
Migliaia di euro spesi.
Tre deserti e decine di spiagge.
Venti, e forse mille, nuove amicizie.
Centinaia di obrigado e qualche lacrima, vera, regalata con amore agli straordinari zii brasiliani. (E una promessa: torneremo!)
Yoga. Tantissimo Yoga.
E poi ancora distese infinite di erba, verde e un po' marrone, ovunque attorno a noi, a coprire distese infinite di montagne e di colline .
Imponente come i tramonti - non ne abbiamo perso uno quindi fanno centosettantasei – e le onde, che non abbiamo mai contato ma che sono state, credetemi, tantissime.

Numeri, esperienze, momenti indimenticabili, forse addirittura irripetibili.

Eppure, nella casa della nonna Maria, a Rovetta, i pavimenti sono ghiacciati come le notti nel deserto e il mondo che si sveglia, la fuori, è lo stesso che abbiamo imparato ad ammirare attraverso i vetri appannati di Kilauea.
Il sole illumina la Presolana con lo stesso incanto con il quale illuminava la Sierra Nevada, dipingendo le cime delle Orobie di accoglienti sfumature rosa ed io, che con quattro mura attorno mi sento prigioniero, ho lo stesso istinto di quando attorno a noi c’erano laguna e giungla: pisciare dalla finestra.

Mi trattengo, per ovvie ragioni; ma due passi fuori di casa decido di farli comunque; le strade di paese non saranno ricche come quelle californiane, ma si respira un’aria buona, di montagna, e la frutta, sui banconi del mercato, è colorata come quella brasiliana.
La giornata si prospetta frizzante e dopo colazione usciamo a correre; spediti fino a casa di un amico, a portare le buone nuove dei nostri mesi lontano di casa.
Poi pranzo alla baita in montagna, session di lavatrici - finalmente senza monetine -, e poi ancora a cena, con la stufa accesa in cucina e, recuperato in extremis fra gli scatoloni del trasloco, un benedetto piumone con cui sostituire i sacchi a pelo puzzolenti.
E’ tutto intenso, quasi frenetico, e la giornata trascorre veloce come quelle in viaggio.
Di nuovo nel vecchio letto della nonna, guardando attraverso la finestra i profili silenziosi del paese e ripensando al sorriso genuino delle persone che ci hanno atteso, mi rendo conto che in realtà, fra rimanere e partire, una differenza c’è: tornare.

Nel nostro caso tornare arricchiti, emozionati e decisi a partire di nuovo, per un nuovo viaggio e con un nuovo progetto, che abbiamo chiamato: Rock n’Ride – Live what you love.

Perché, in fondo, se fra rimanere e partire la differenza è tornare, tornare per poi rimanere vorrebbe dire rinunciare a partire; e quindi privarsi di emozioni.
Vorrebbe dire scegliere di privarsi della tensione del viaggio, della gioia della scoperta e dell’incertezza dell’essere out-there.
Emozioni preziose che vivono nascoste, solitarie, ai margini del sistema produci – consuma - crepa del quale in tanti amiamo lamentarci e che due come noi – fortunati, ma certo non facoltosi – possono raggiungere soltanto correndo qualche rischio.
Ma in fondo ci sta che sia così; si corrono dei rischi, ce la si mette tutta, e poi, se si è fortunati, si finisce per sentirsi un po’ più vivi.

Anche perché, come disse a suo tempo una fra le più influenti rock star del nostro secolo: «Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l'insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.»

Fucking thanks, Mr. Einstein.

Noi di pifferai ne abbiamo a dozzine; grandi scrittori, musicisti, imprenditori, amici, parenti, personaggi inventati e altri drammaticamente reali; come il saggio rovettese - muratore - che ha commentato così la nostra decisione:
«...chi laur le mè fai intat cass'è szuegn, ca'ssa diert. Ca quando an sè èch, an sè morch.»*

Fuck Yeah!

Rock Ride Think Smile.

*"Quelle cose li bisogna farle finchè si è giovani, che ci si diverte. Che quando si è vecchi, si è morti."

Nessun commento:

Posta un commento